L'Ombelico di Alvise – Rassegna Stampa | Alraune Teatro Salta al contenuto
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Rassegna stampa

Orphans

Saltinaria Autore: Francesco Mattana · 21 aprile 2014
Recensione Violenza Segreti
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"Orphans" di Dennis Kelly, regia Luca Ligato

Onore al merito dello Spazio Tertulliano: non è l’unico teatro della scena milanese a proporre spettacoli “perturbanti” e “conturbanti”, ma è uno dei pochi riuscito a conquistarsi una pattuglia di spettatori affezionati. Una credibilità sedimentata col tempo, e questo è già un motivo di plauso. Fuor di dubbio che, per rendersi credibili, bisogna anzitutto proporre al pubblico degli standard qualitativi alti; altrettanto certo che Orphans, in scena dall’8 al 18 aprile, rientrasse nella categoria dei buoni prodotti, realizzati con passione e sensibilità. Detto questo, ci sembra corretto muovere qualche appunto critico. In maniera molto amichevole, come si usa fare tra persone che si stimano reciprocamente.

Il problema principale di questa pièce era la lunghezza: due ore abbondanti di recita ininterrotta risultavano troppe, sia per chi stava sul palco sia per chi stava seduto in platea. L’autore Dennis Kelly — noto al grande pubblico come creatore della serie Utopia — ha dichiarato in un’intervista che le sue opere possono essere amate o odiate, ma nessuno potrà dire che siano noiose. E invece, caro Dennis, bisogna che te ne faccia una ragione: Orphans, a tratti, annoiava. E la noia scaturiva soprattutto da una scrittura che, in certi momenti, appariva autocompiaciuta e ridondante.

Il testo quindi era un filino zoppicante qua e là, ma la colpa di ciò naturalmente non era né del regista Luca Ligato né dei tre protagonisti Dario Merlini, Alice Francesca Redini e Umberto Terruso. Luca anzi ha sfoderato delle intuizioni ragguardevoli: magari si può discutere su Nina Zilli prima dell’apertura, tuttavia l’idea di partire immediatamente con una sequenza alla Psycho — lo stupore terrorizzato della protagonista di fronte alla maglietta insanguinata del fratello — non era affatto male, perché lasciava intendere una sensibilità cine/televisiva; un senso del ritmo e della rapidità; un desiderio, più che legittimo, di mettere da parte certe lentezze che appartengono al linguaggio classico del teatro. Luca ha dimostrato insomma di essere più “kelliano” di Kelly, e questo gli fa onore perché significa che ha interiorizzato molto bene la lezione del maestro.

Quindi come inizio dello spettacolo, più o meno, c’eravamo. Più o meno, nel senso che questa illuminazione di arrivare subito al sodo della trama, senza nessun preambolo, volendo poteva essere resa con una recitazione più efficace. Partivano un po’ moscietti, tutti e tre gli attori. Nell’arco delle due ore hanno avuto modo di rifarsi, mostrando un discreto brio recitativo. Però c’è un però: l’impressione generale, così a occhio, è che non fossero un gruppo di interpreti particolarmente affiatato. Poi magari in realtà si vogliono un gran bene tra di loro — e saremmo tutti molto felici di questo fatto — eppure a vederli così non traspariva un feeling particolare.

Dei tre, quella che conosciamo meglio è Alice Redini. Dopo averla seguita in parecchie sue imprese, possiamo fare un primo bilancio provvisorio:

  1. Le parti da esagitata le vengono piuttosto bene (fermo restando che, ad esempio, quando interpreta la madre di Iaio in Viva l’Italia, sa rendere benissimo anche la sobrietà del dolore).

  2. Il ruolo di Helen in Orphans non aggiunge e non toglie più di tanto al suo percorso d’attrice: tutto sommato poteva anche non rientrare nel suo curriculum (mentre Angela, la donna di cui vestirà i panni all’Elfo dal 25 aprile al 4 maggio, quello sì che è un personaggio da segnare in grassetto nel CV).

La scenografia di Giovanna Angeli giustamente non doveva essere invasiva, perché occorreva lasciare in primo piano i tormenti del terzetto, consumati in un anonimo appartamento londinese. Ma volendo si poteva essere ancor più minimalisti, eliminando pure il fondale che stava a simboleggiare l’intrecciarsi complicato dei rapporti tra coniugi e consanguinei. Il concetto che Kelly e Ligato volevano esprimere era già abbastanza chiaro, anche senza il fondale.
I costumi di Carla Goddi, invece, si intonavano perfettamente alla cornice e al racconto.

Ci siamo permessi di segnalare alcune steccature in questa sinfonia familiare andata in scena nei giorni scorsi. Ma niente paura: come diceva il miliardario di A qualcuno piace caldo, “nessuno è perfetto”. After the End — sempre di Kelly, sempre al Tertulliano, sempre diretto da Luca Ligato — era sicuramente uno spettacolo più compatto, per svariati motivi (non ultimo, l’amicizia quasi simbiotica tra Valeria Perdonò e Alessandro Lussiana).
Le imperfezioni, d’altra parte, sono il sale della vita. Meno male che ci sono le incompiutezze a questo mondo: senza di esse, ci sentiremmo tutti orphans.