After the End
Arriva all’Elfo Puccini After the End – da stasera al 27 maggio – lo spettacolo del drammaturgo inglese che, se non si fosse messo a scrivere, avrebbe fatto il serial killer (come ha dichiarato più volte scherzando l’autore). Non perdetelo. Si tratta di una black comedy che racconta una convivenza forzata all’interno di un rifugio antiatomico. La regia è del trentunenne Luca Ligato, che di Kelly, la scorsa stagione, ha messo in scena anche Orphans. Sul palco la coppia Perdonò-Lussiana. Ciao Valeria. Ciao Alessandro. Io naturalmente non ho perso l’occasione per intervistare Luca.
Quando e come hai scoperto Dennis Kelly?
Qualche anno fa proprio con After the End, il testo con cui ho iniziato un percorso all’interno della sua poetica, ed è stato folgorante. La sua drammaturgia ha la forza di lacerarti e avvolgerti al suo interno e portarti a interrogarti e a scoprire percorsi ed emozioni inesplorati.
Cosa ami di questo autore?
Concentrandosi sull’individuo, Dennis Kelly cerca di scoperchiare tutte quelle sovrastrutture che ogni giorno costruiamo sopra la nostra personalità per poter meglio interagire con il mondo che ci circonda, ma che finiscono per allontanarci da quello che realmente siamo e proviamo. I suoi personaggi, seppur inseriti in contesti estremi, nelle loro reazioni sono molto vicini a noi, ed è impossibile non riconoscerci. Amano sempre tantissimo e proprio per questo odiano sempre tantissimo. Ed è proprio l’amore la spinta che li fa muovere, questo folle, strano sentimento, incontrollabile e impalpabile, che diventa il campo di battaglia in cui i personaggi agiscono. Poter portare oggi in scena prima After the End e poi Orphans è stato un desiderio esaudito, un sogno realizzato, un incredibile viaggio che ho avuto il piacere di percorrere con dei compagni meravigliosi.
Che affinità e differenze ci sono tra After the End e Orphans?
Ci sono molte affinità non solo tra questi due titoli ma anche tra altri testi dello stesso autore, così come diversi richiami, con i quali Kelly si diverte a giocare con i propri spettatori. In After the End per esempio Mark ama moltissimo mangiare il chili che in Orphans è il piatto che Liam afferma saper cucinare meglio. Due personaggi così diversi nel loro modo di apparire eppure molto simili, entrambi bisognosi di amore e sicurezza, che celano al proprio interno terribili verità. La differenza più sostanziale tra After the End e Orphans è la totale mancanza di azione che caratterizza il secondo e che è la vera sfida di questo testo, giocato sulla scoperta dei nostri limiti e di quello che siamo capaci di fare pur di non scardinare il microcosmo in cui viviamo.
Qual è lo stile di scrittura di Kelly?
Kelly ha una scrittura dura, raffinata, ironica, pungente, ma soprattutto con un ritmo deciso e preciso come fosse una partitura. Sbagliare il ritmo vuol dire sbagliare tutta la rappresentazione. Per fortuna, nel caso di After the End, esiste un’edizione italiana, tradotta in maniera eccelsa da Monica Capuani, che ha saputo restituire e mantenere quella velocità e quella forza nelle parole ben presenti nella sua versione originale. Partendo così da una buona base, abbiamo lavorato all’adattamento del testo. La sua versione integrale ha una durata di quasi due ore, che si trasformano in questa nostra versione in un’ora e poco più di spettacolo. Si è così cercato di snellire e accorpare dei passaggi anche attraverso l’utilizzo d’immagini. L’obiettivo era quello di cercare di mantenere inalterato il ritmo e i punti salienti che sono caratteristici del teatro inglese, ma rendendo il tutto fruibile per uno spettatore italiano, meno abituato a sentire parlare, parlare e parlare per molto tempo, in scene quasi senza azione. In sala prove, infatti, in tutta la prima fase di studio del testo, oltre alla versione italiana abbiamo sempre affiancato quella originale per andare a trovare e scoprire delle piccole sfumature che danno a questo testo un sapore del tutto particolare.
Il tuo prossimo lavoro? Sarà un altro Kelly o un autore italiano?
Ci sono un paio di testi che ogni tanto riprendo e rileggo cercando di capire meglio. Mi piacerebbe molto continuare e proseguire all’interno della drammaturgia di Dennis Kelly ma, dopo due anni intensi nella sua mente, sento anche la necessità di lasciarlo depositare e sedimentare. Ma le decisioni migliori sono quelle che si prendono d’impeto, per cui per ora preferisco aspettare, chiudere questa fase e poi lasciarmi nuovamente sconvolgere.
Qual è la città in cui ti piacerebbe vivere e quella che ti dà più stimoli teatrali?
Sul vivere mi viene difficile poterlo dire in quanto non ho mai trascorso quel tempo necessario che serve per entrare nella quotidianità di un posto e iniziare a conoscerlo non come turista, anche se a volte capita di sentire un senso di appartenenza verso alcune città. Tra queste Londra, che trovo estremamente interessante anche a livello teatrale. Lì il teatro ti colpisce, ti sorprende e ti trova nei posti più impensabili. Mi piace il teatro delle piccole cose, che non ha bisogno di scenografie mastodontiche per poter sorprendere e ammaliare. In realtà sono contento della città in cui sono nato e vivo, Milano.
L’Italia è un paese stupendo che potrebbe offrire molto a livello culturale e spero che prima o poi arrivi quel giorno in cui ci decideremo a valorizzarlo e puntare su di esso e sulle persone che lo abitano e che queste potranno così affermare di apprezzarlo e di volerci anche stare.
Lo spettacolo più bello che hai visto?
Senza ombra di dubbio lo spettacolo che più mi ha colpito e convinto a prendere certi percorsi nella mia vita – e per cui sentitevi responsabili con tutte le conseguenze del caso – è stato La Tempesta di Shakespeare, con la regia di Bruni e Frongia, un’incantata riflessione sui temi dell’amore, del perdono e della morte.
Alraune Teatro