"After the end" di Dennis Kelly, regia di Luca Ligato
L’istante successivo alla fine, quello carico di un silenzio denso e
assordante che segue un’esplosione, quello in cui la felicità per la
sopravvivenza si scioglie nell’atroce brivido di essere rimasti
soli: nient’altro che passi erranti su macerie di nulla e abbandono.
È questo il risveglio di Mark (Alessandro Lussiana) e Louise
(Valeria Perdono) che, scampati a un attentato nucleare, si
rifugiano nel bunker antiatomico da lui costruito per eccessiva e
fortunata paranoia. Uno spazio privato e sotterraneo disegnato da
una vellutata e contrastata illuminazione che si insinua nel freddo
minimalismo metallico di un tavolo e due sedie, di una parete
mosaicata in scala di grigi e di una dispensa-scatola, custode
ordinato di scorte alimentari e speranza.
Come un surrealistico riflesso, la scena traduce in significante
plastico una psiche, quella di Mark, pericolosamente ordinaria e
inquietamente anonima, nascosta nella pacata compostezza di una
camicia e un pullover; un’identità nerd assuefatta dalla maniacale
attrazione per Louise, fonte di fascino isterico, di raffinatezza
spavalda, di ruvida eleganza contenuta tra il raso di un blue dress
e la parlantina vagamente scurrile.
La drammaturgia del britannico Dennis Kelly dilata e penetra con
scuro e aspro umorismo l’astrattezza di una prigione-culla di un
amore deviato in morbosa ossessione, di un rispetto decomposto in
macabro abuso, di una protezione infettata da una possessività
perversa che trascinano la coppia dentro le proprie primarie
pulsioni animalesche, quelle appartenenti a un informe mondo
originario di deleuziana concezione, dove vittima e carnefice
divorano il cibo da terra, s’incatenano come cani rognosi, si
umiliano in nome di una violenza amorfa e recondita che conduce
naturalmente gli esseri umani all’autodistruzione.
E se l’accattivante complicità interpretativa di Lussiana-Perdono dà
vita a un abbraccio fisico e mentale di drammatica e serrata ironia
dialogica, il pungente nervosismo registico di Luca Ligato svela uno
sguardo da “angelo sterminatore” che, con cauta pietà, osserva le
sue creature dilaniarsi l’anima, consumarsi la dignità, ridursi,
poco per volta, a ferite senza corpo e lacrime senza volto.
Alraune Teatro