Valeria Perdonò illumina la scena in "After the end"
Nel 2005, Londra fu funestata da un terribile attacco terroristico,
e di quell’anno è la pièce in un atto, “After the End”, che Valeria
Perdonò e Alessandro Lussiana, per la regia di Luca Ligato, hanno
portato nello Spazio Studio S. Orsola. Ne è autore Dennis Kelly,
45enne inglese di famiglia irlandese, allora alla sua terza prova,
che nel frattempo ha arricchito di molti altri titoli. Un testo di
vera provocazione ma dalle scansioni uomo-donna un po’ troppo
prevedibili.
Si immagina che due giovani siano sopravvissuti a una esplosione
nucleare che ha raso al suolo molti quartieri della città. Che Mark
abbia trasportato Louise svenuta in un rifugio di antica costruzione,
quando impazzava la paranoia antisovietica, e che lui ha conservato
e restaurato portandovi cassette di viveri per qualsiasi evenienza.
Nel corso dello spettacolo, i dialoghi di scena sono spezzettati da
improvvise oscurità rinforzate dal rimbombo di esplosioni. Ignoriamo
quale sia la reale portata dei fatti esterni, e quanto debbano
all’immaginazione di Mark che, dopo un sommario resoconto all’amica
rinvenuta, pare interessato a illustrarle il posto e la garanzia di
una sopravvivenza per due settimane, a intrattenerla con dei
passatempi e a informarsi del suo stato sentimentale nei confronti
di un ragazzo che era con loro al pub. Nel frattempo, Louise ascolta
distrattamente, si esprime concitatamente tentando a sua volta di
parlare, e prende a girare in tondo come un animaletto spaventato,
in cattività. E se progressivamente si acquieta, in qualche modo
cerca di adeguarsi alle direttive di Mark, che suonano davvero
strambe, e più che sospette.
Ciò che si rappresenta è uno spazio nudo, un tavolo, una sedia, e
lampade in forma di gocce, più una radio muta. Uno spazio privo di
regole che non siano quelle del signore del luogo che così può
esercitare il suo potere. Mark presenta una mente infantile,
perversa. Non aspettava altro che si verificasse la circostanza di
pericolo, per isolarsi con il corpo femminile che più apprezza e
desidera. E Louise non intuisce il pericolo prestandosi al suo gioco
di fantasia (Dungeons and Dragons). Ma poi pretende di uscire, anche
perché sente delle voci scendere dalla botola, e lui le raziona il
cibo, la affama e, come nell’immaginario italiano anni ’80 di Marco
Ferreri, l’equazione amore/reclusione, incatena come una cagna.
Oltre a sopraffarla, la stupra. E, per l’eco dell’immaginario
inglese, si pensa a Edward Bond e più ancora a Sarah Kane di
“Psychosis”. Una lotta per la vita e per la morte si scatena tra i
due, sino a che una luce forte piove dall’alto. Ed è il finale, il
momento teatrale più interessante e pertinente dello spettacolo.
Piace molto la Louise di Valeria Perdonò, per i suoi scatti, le
frenesie, le calme apparenti, gli errori e le rivalse, e l’ultimo
monologo con tono freddo e impassibile, a parte un piccolo cedimento
all’emozione, che rivela la sua vulnerabilità, il ricordo di quelle
due settimane con un pazzo cui non era del tutto insensibile. Nella
sgradevolezza del ruolo, non dispiace la goffaggine che cela la
violenza propria dei frustrati, di Alessandro Lussiana.
Alraune Teatro