"After the end" un dramma postatomico.
La storia di questo spettacolo a due è quella di un sogno nel
cassetto condiviso. Da un lato una coppia di attori, Alessandro
Lussiana, ex "History Boy", e Valeria Perdonò, che hanno adocchiato
nel 2007 un testo dell’inglese Dennis Kelly, noto per
Orphans, il musical Matilda e alcune
serie tv di successo, e tentano invano di metterlo in scena;
dall’altro un giovane regista, Luca Ligato, con la stessa passione
per questo testo dramma post-atomico scritto in un periodo di
contagio terrorista, anni non di piombo ma di strapiombo. Finalmente
si dichiarano e così va in scena After the End, black comedy che
arriva a Milano dopo un successo romano particolare.
In 65 asfissianti minuti l’autore racconta, dondolandosi tra
suspense e humor, cosa avviene nei provati meandri interiori di un
uomo e una donna che si svegliano in un rifugio antiatomico in un
futuro post-tutto, come quello dei film barbaro-fantasy di Mad Max e
soci, e si dimostrano voracemente tutte le sfumature di odio e amore
di cui sono capaci su un contesto di macerie morali e materiali.
«Mi ha conquistato – dice Lussiana – il rapporto vittima-carnefice
declinato all’interno di un contesto molto contemporaneo: il testo è
scritto nel 2005, dopo le Torri Gemelle e gli attentati alla metro
di Londra, in un’atmosfera di paura che conosciamo bene. Da qui si
parte però per un ragionamento più allargato, una riflessione sulle
nostre nevrosi e scompensi valorizzati al massimo dal contesto di
paura, vedi Charlie Hebdo, e dalla claustrofobia del rifugio».
La frase chiave di After the End dice: «C’è un unico modo per farsi
distruggere, permettere agli altri di trasformarti in qualcosa di
diverso da quello che sei». «È vero. Colpevoli tutti: i media, la
gente, la tensione del bunker porta tutto a estreme conseguenze
alterando le relazioni umane. Di questa generale follia il testo
parla, anche con una sua ironia inglese nella scrittura. Credo sia
una forma di teatro contemporaneo asciutto, che ci appartiene per
intero come attori e come spettatori. Perché i personaggi sono i
nostri vicini, di cui mostriamo umanità/disumanità senza paura a
guardarci dentro: bisogna esaminare chirurgicamente i rapporti e
studiare le tensioni che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, si
stabiliscono tra colleghi, innamorati, amici, parenti, senza gradi
di separazione che tengano».
Alraune Teatro