Al Teatro dell’Orologio, in via de’ Filippini a Roma, va in scena sino al 10 maggio il testo di Dennis Kelly “After the End”
“Mark, ma io ti sembro io?”, chiede Louise, a conti fatti, sul finale, quando ormai non è sicura più di niente. Scardina le certezze, demolisce identità ed emotività in una trappola di vicoli ciechi, “After the End” dell’inglese Dennis Kelly, in scena all’Orologio fino al 10 maggio nell’ambito della programmazione “Let’s get British”, dedicata al panorama teatrale britannico. Scritto nel 2005, all’indomani degli episodi dinamitardi di Londra, il testo costruisce, con le sue alterazioni continue, un’interessante dialettica vittima-carnefice che non esclude ribaltamenti imprevisti e che è in grado di riprodurre in scala il risuonare infetto, virulento, di una società malata del sentire.Una parete di lamine d’acciaio sul fondale in penombra, la luce di fioche lampadine sospese in due filamenti sottili accarezza la superficie grezza del metallo freddo, risvegliandone i grigi riflessi sopiti dal buio.
C’è poco spazio per muoversi nel bunker sotterraneo che Mark ha custodito con lungimirante paranoia, presagendo la catastrofe in atto. Un attacco terroristico con minaccia nucleare ha raso al suolo edifici e spezzato via esistenze inconsapevoli nell’attimo dell’esplosione. Giusto il tempo di mettere in salvo Louise, la sua amica di sempre, per poi sprofondare insieme in una reclusione forzata che, ben presto, si rivela una prigionia per i due ragazzi.
Troppo diversi per andare d’accordo, Mark col suo maglioncino di lana e gli ingombranti occhialoni da nerd cela ossessioni latenti dietro quell’ordinaria facciata da persona perbÈ ambientato in un rifugio antiatomico, luogo claustrofobico ma impenetrabile e protettivo, dove c’è spazio solo per il desiderio di sopravvivenza e i bisogni primari di due sopravvissuti: un uomo e una donna, amici coetanei, scampati a un’esplosione nucleare che ha devastato il loro mondo conosciuto attraverso affetti e abitudini, in parte comuni, e lo ha trasformato in una coabitazione imposta tra Mark, proprietario del bunker, e Louise, messa in salvo da lui priva di sensi e al risveglio qui amnesica e confusa. Procedono di pari passo: il recupero della memoria critica della giovane, che reclama spiegazioni sempre più dettagliate e plausibili, e la necessaria vigile saggezza del padrone di casa, che prima ossessivo arbitro della situazione coatta diventa in breve despota aguzzino. Lo spettatore scopre che Mark è da sempre innamorato di Louise: dunque chi dei due ha più potere? Perché l’Uomo è così disperato (narcisista e violento, cioè) e la Donna così disperante (masochista e livorosa, cioè)? Un dialogo a tratti asfissiante e una tensione drammatica senza pause riescono a incidere nel pubblico nuove e più profonde tracce interpretative del rapporto tra chi si dice amante (ed è invece incapace di amare) e chi è amato (ma non in grado di rendere attivo il proprio desiderio), grazie alla misurata regia di Luca Ligato e alla sorprendente bravura di Valeria Perdonò e di Alessandro Lussiana, capaci di affrontare ritmo e abissi di questo dramma tachipsichico, con la padronanza di una professionalità di razza, insospettabile in tanto entusiasmo giovanile.
Alraune Teatro