LINKIESTA.it di GIULIA VALSECCHI


Ogni elemento di disturbo spezza le reni alle apparenze. Interrompe un allenamento continuo e chiama in causa ragioni comuni, proiezioni di un futuro che si vorrebbe sempre onesto e dichiarato. Il sangue che regola i legami familiari o li scompagina è forse il primo responsabile di un motore di ricatti e implicazioni morali.

Cosi' le sospensioni sceniche e umane di Orphans di Dennis Kelly attraversano un parlato a raffica, una scuola pinteriana in cui tre componenti di una famiglia-societa' sono l'emisfero di raccolta scomoda e disperante di non detti e bisogni da sfogare. Liam e' il primo fattore di disturbo, il fratello che irrompe una volta in piu' nella cena ordinata della sorella Helen e del cognato Danny.

Incredulita', sconcerto e orrore si scambiano i ruoli d’impatto non appena quell'ingresso brutale, lercio di un crimine visibile nel sangue sulla pelle e i vestiti, fa riaffiorare un disordine sotterraneo e incombente. La confessione arruffata di Liam si oscura gradatamente nel segno della rovina collettiva, memoria della fine violenta dei genitori che ha battezzato la simbiosi con Helen e sancito il vuoto a perdere indicibile dell’essere orfani.

Le torture inflitte al presunto terrorista di quartiere e verme del microcosmo in bilico tra l’eccesso di apprensione e il disagio etico, fa da molla anche al conflitto coniugale, dove Helen e Danny regolano i volumi del ring. Un buio domestico dove salta qualsiasi copertura ipocrita e sono coinvolte opinioni e coscienza, alterita' razziali verso cui parrebbe quantomeno civile riconoscersi responsabili, accanto alle piu' losche complicita' per non veder scemare gli affetti.

Alle spalle di tutto Helen aspetta un figlio prima desiderato e poi abiurato come vergogna, un fardello greve che il mondo non si merita di ammettere. L'io e il noi si fronteggiano anche su questa terza radice di conflitto, dopo il virus dei vincoli di sangue e l'assenza di padri e madri a dirimere le devianze. La visione registica di Luca Ligato affida allora a un fondo di corde bianche tirate diagonalmente quasi la distorsione perenne e simbolica del reale, del suo marcio svolto dall'accanimento verbale.

Il cuore pulsante della tavola apparecchiata con vino rosso e salmone e' poi l'unica controparte matriarcale di Helen, da cui la bravura di Alice Redini libera sicurezza e cinismo inglese prossimi a disfarsi. L'infrazione di quanto e' giusto, di cio' che siamo o non siamo si infrange pero' negli scrupoli e nella debolezza amara di Danny, marito devoto e traviato nella chiave d'opposizione interpretativa di Dario Merlini.

Fiato corto spetta d'altro canto a Liam, ragazzotto senza altra legge che non sia la difesa cieca di quanto gli spetta per non aver mai ricevuto nulla. E convince la fatica matura di Umberto Terruso nel rimarcarne il disagio giovanile, lo sbandamento borderline. L'affare di istinti disumani contro il razionalismo esasperante che ne giustifica apparentemente i mezzi per impulso di sopravvivenza.

La regia si articola dunque tra tre anime discusse, aggancia il fiume dei loro dialoghi e non scioglie nulla che non sia gia' un ingranaggio previsto in evoluzione drammatica da Kelly. A ogni taglio del coltello del Liam, fa eco un affondo di lingue, una t-shirt lorda di generico sangue arabo o intrisa del sudore rancido di famiglia.

Cosi' la rabbia e l'urgenza di farsi giustizia con la moneta di scambio di un passato ingrato galleggiano unanimemente nel mare torbido di tre che convivono con riscatti impossibili. Cancri di vita gli uni negli altri sotto cui ribolle il malessere mai sanato dalla verita', seppur dolente. I vasi comunicanti di Orphans abitano abissi inquinati e il mestiere piu' cruento e' di una parola che non perde occasione per rinfacciare la propria nudita'.
 

GIULIA VALSECCHI
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